martedì 19 ottobre 2010

#9

Mi spostavo
per farti posto
Mi portavo
mi mettevo seduta
sul davanzale come una pianta
Freddo di marmo alle cosce
luce di vetro alle spalle
Il mistero delle cose appoggiate

Mi sentivo un pendolo
dondolavo le gambe
misuravo il tuo tempo
Il mio tempo non esiste
E'un soffione soffiato via
molte molte ore fa

mercoledì 6 ottobre 2010

Agosto: mosche

Ma che cielo strano, oggi, si direbbe ispirato, con le ombre delle nuvole basse sui tetti, e macchie di una luce calda, morbida, riposante.
La mosca è appoggiata alla ringhiera del balcone. Sono sicura che fra poco entrerà di nuovo in casa, dalla finestra aperta. Odio il suo ronzìo, quel rumore sporco, come lei, contaminante. Ogni giorno ne entrano due o tre e vagano fastidiosamente per il salotto e per la cucina, appoggiandosi dappertutto. A volte si avventurano fino in camera da letto, ne ho trovate già due, morte stecchite sul legno del pavimento. Avevano perso la strada per uscire e hanno dovuto terminare lì, morte di fame probabilmente, la loro brevissima vita.
Le odio ancora di più da quando ho capito da dove vengono, e i miei dubbi hanno ricevuto conferma: qualche giorno fa sono andata a buttare la spazzatura, in un angolo del cortile separato da una porta che si apre fra i garage. E' un fazzoletto di terra putrida incastonato fra muri muti, dove sono cresciuti arbusti molli e frondosi, sempre più alti perché mai tagliati, e lì si trovano, uno di fianco all'altro lungo il perimetro del muro, i bidoni della spazzatura: plastica, secco -che sarebbe "indifferenziato", praticamente-, umido e vetro. Carta e cartoni stanno accatastati in un angolo - loro non hanno un bidone, poverini-. Era tarda mattinata e faceva caldo, come oggi, e non appena aprii la porta di quel giardino degli orrori, mi vennero addosso in ordine sparso varie mosche, inquietate dal mio arrivo. Tendevano a gravitare soprattutto attorno al bidone dell'umido dal quale proveniva un odore indescrivibile, insopportabile, osceno. Aprii il bidone e vi buttai rapidamente il mio sacchetto. Buttai in fretta anche il resto della spazzatura, infastidita se per sbaglio mi si inumidivano le mani al contatto con i coperchi liquamosi, e scappai fuori.
Più tardi, sul divano, la vidi. La mosca. Si ricominciava, come ogni giorno, con l'avanti e indietro, a spasso per casa mia. Mi venne in mente l'immagine di una discarica. Un'enorme discarica putrescente, fetida, viva, marcia, calda, sempre più grande. Come fare? Come fare ad eliminare tutto questo schifo? Siamo noi e ci vive accanto, e le mosche ce lo ricordano, è la nostra ombra, il nostro carro, la terra dove verremo seppelliti quando gli insetti, soli, trionferanno sull'infernale lordura che ci travolgerà tutti. O forse no. Forse alcuni di noi sono come le mosche.

martedì 20 luglio 2010

#8

Inconscia ricerca
dalle muse mutevoli e selvagge
Non t'ascolto
se guardo un paesaggio
di girasoli, dal finestrino del treno.

Ariel

Io dormii nella stanza del Sole.
Quella della Luna era occupata.

Ci sono persone le cui storie sembrano procedere diritte, quasi avessero un senso principale, o un principio guida. Poi invece ci sono persone le cui storie procedono a tentoni, a tentativi, con continue inversioni, incroci e sovrapposizioni. Ariel era una di quelle, come me.
E fu lungo una curva -o dietro un angolo, non ricordo- del mio arzigogolato percorso che la incontrai, incrociando la sua labirintica strada. Per un attimo dunque, le nostre traiettorie intersecandosi, condividemmo un tratto di cammino.

Dormiva in un angolo del divano, rannicchiata e bianca, mentre fuori dalla finestra un temporale estivo rinfrenscava l'aria.

La città in cui ci conoscemmo e la città in cui più avanti la incontrai avevano una cosa in comune, fra di loro e con noi due: anche le loro strade, di pietra, strette ed in salita, si snodavano senza senso, in un susseguirsi di angoli, scorci, stradine e mura, così che quando si imboccava una via non s'era mai sicuri che non si trattasse in realtà di un vicolo cieco. Città fatte apposta per perdersi. Come noi, appunto.

A Granada la conobbi. Ma fu a Perugia ch'ebbi occasione di vederla da vicino. E fu una piccola epifania l'accorgermi d'aver trovato una nuova sorella fragile, una gemella, un pesciolino luccicante e splendente come la luna. Ariel era come una strada di campagna durante la notte, cosparsa di mille pietre e che, inerpicandosi fra cespugli odorosi, scompariva poco più in su, o si nascondeva nella vegetazione, e chissà dove andava a finire. Forse in riva a un fiume, o forse in una surreale piazza illuminata dalla luna, con una fontana nel mezzo, che canta alla luna mille storie di silenzio in una lingua che non capirà mai nessuno e che anche se qualcuno la capisse poi non riuscirebbe mai a spiegare a qualcun'altro che cosa stia dicendo.

E se non s'estingue mai 'sta sete, 'st'ansia, e se s'estinguesse sarebbe perché i miei occhi si sono chiusi per sempre, e se dura solo un attimo la sensazione per cui vivo, quella luce, quello spiraglio, e il resto è un farfugliare confuso, una sinfonia barocca e ondeggiante, e soltanto poche volte e sempre come per caso quando dal picco dell'onda spicco il salto riesco, se riesco a stare lì sospesa per un attimo, prima subito cercavo un appiglio in mezzo ai barbagli, cercavo di aggrapparmi a qualcosa che stesse sempre su, ma non trovavo mai nulla e ora quindi ho smesso. Se ho smesso di cercare appigli, e penso solo a vivere quei momenti egoista e sola, è perché so che nulla c'è che possa tenermi sempre lì, e che ogni secondo vale milioni milioni di vite ma smetterà subito e allora sguazzo in ciò che mi viene concesso senza pensare a niente, senza cercare più alcuna formula. E ringrazio ogni abisso perché sarà lui a regalarmi poi la cima per spiccare il salto più alto.

Così felice può essere soltanto
chi ha avuto il presentimento della sua morte.

Ed è quando una bambina non cresce
che soffre di più
E paga la bellezza dei suoi piedini
con fiumi di lacrime
E muore giovane
anche a novant'anni
E hanno iniziato ad ucciderla
quando è nata.






#7

Tu, che hai avuto il cuore di imbrattare
il mio cuore
senza sapere nemmeno dire
cosa pensi, cosa vuoi
Tu dovresti morire
per quel poco che rimani
E io che ti regalo le mie pietre
e tu che nemmeno le guardi
Non so cosa vedessi di me
ma di sicuro non mi hai amata
e io non ho amato te.
Ero solo come una gazza attratta
dallo sfavillare del tuo deserto.

Ma io non sono una gazza
Quello che hai ucciso era la finta me
Ti ho ingannato mentre
cercavo di ingannarmi
E ora io volo via
E tu rimani vuoto
come sempre sei stato
Sfavilla lontano da me
A me spetta il mare aperto
Che gli scorpioni scavino il tuo cuore
Il mio imbrattato lo disinfetterò
con acqua marina.
Ho fame di pesci luccicanti.

venerdì 18 giugno 2010

WELCOME HOME

Incazzarsi a morte per quisquilie, conoscendone fin troppo bene il sottotesto.

Monza, giovedi 17 giugno, ore 1 di notte.
Attraversando il centro per andare alla macchina, mi fermo fuori da un bar per chiedere una sigaretta al cameriere, che e' li fuori che chiacchiera e fuma.
Gliela chiedo, me la da'.
Tempestivo, un signore con camicia a righine e ciuffo bianco, seduto ad uno dei tavolini, dice al cameriere, con spiccato accento e tono aggressivamente sarcastico:
"Oh, ma diGLI che dentro ce le hai, le sigarette."
Nel senso che se voglio fumare posso comprarmi un pacchetto al distributore automatico probabilmente presente all'interno del locale.
Lamentabilmente, io in queste situazioni non ho mai la presenza di spirito per rispondere a tono.
Ma se fossi stata un po' piu' pronta, avrei potuto rispondergli, a quel vecchiaccio impiccione, con le parole che, pochi secondi dopo la conclusione dell'episodio, hanno iniziato a sgorgare dalla bocca contratta del mio stomaco, purtroppo muto causa la mancanza di corde vocali.
E gli avrei detto:
"Senti, stupido, vecchio, inutile borghesotto brianzolo lampadato e senza un cazzo da fare, capisco che tu -e probabilmente nemmeno te ne rendi conto- sei un frustrato che fa una vita di merda e non sa cosa significhi divertirsi, e vivi da sempre in un posto dove la maleducazione e la scortesia sono tradizione popolare radicata. E capisco anche che tu, tipico esempio di industrialotto lombardo che nella sua vita e' sempre stato al posto di chi comanda e mai al posto di chi lo prende in culo, tu, spiritosa testa di cazzo che all'una di notte si attarda in un bar quasi vuoto perche' a casa ha solo una moglie che non lo sopporta, tu, che ti diverti a mettere in imbarazzo per una cazzata una come me, tu, col tuo culo grasso e peloso e le tue scarpe di marca, che mi fai solo tristezza e non lo sai e ti permetti di fare commenti inutili, scortesi e sgrammaticati mentre io non ti ho nemmeno rivolto la parola in effetti, tu, fallito della vita convinto invece di essere un figo realizzato e arrivato, tu sei un coglione, e dovresti rivedere un attimo il tuo punto di vista, e soprattutto dovresti andartene immediatamente affanculo.
Guarda, questa sigaretta, questa preziosissima sigaretta che io, parassita, cosi inappropriatamente mi sono permessa di chiedere al cameriere che me l'ha concessa non senza un certo disappunto (cazzo! Ma stiamo parlando di una sigaretta, porca troia!), be', insomma, questa fottutissima sigaretta io, ora, rinuncerei a fumarmela, solo per potertela invece infilare su per quel culo schifoso, insieme anche ad una trave di legno scheggiato.
Cosi potrei vedere se, provando almeno una volta in vita tua a prenderla in culo, abbasseresti la cresta e capiresti che, in fondo ma neanche troppo, sei solo un povero stronzo. Vorrei vederti piangere, pirla."

Invece non gli ho detto nulla.
Casa. Che bello essere tornata dalle mie parti.

Peace and love

LAST DAYS

Assistiamo impavidi all'inesorabile
srotolarsi delle nostre vite.
Inconsapevoli da tempo immemore
le guardiamo svolgersi a scatti, a volte
lentamente, altre volte precipitando.
Precipitiamo.
"La morte e' un processo rettilineo."

***

Mi lascero' alle spalle anche questa citta'
ribollente di ricordi, io
Sopraffatta dai ricordi a tratti,
a tratti grata di esserne costituita
Come la pellicola di un film
girato in presa diretta
seguendo solo il canovaccio
di uno sceneggiatore schizofrenico.

***

I cicli finiscono.
Riconosco le mie verita'.
Giorgia e' sempre giorgia
E l'incubo e' cangiante:
a volte sembra un sogno.

I cieli si muovono
gli occhi si chiudono.
Non tocchero' mai piu' la tua pelle
E il tuo abbraccio
gia' lo sento straniero.